L’Amministrazione Comunale di
Benevento, eletta lo scorso 16 maggio, ha commissionato all’architetto Riccardo
Dalisi una statua ed alcune decorazioni luminose, per una spesa, si dice, di
120.000 euro.
E’ indubbio che quando c’è di
mezzo l’arte le discussioni sono sempre vivaci e lo scontro sul valore
artistico o meramente estetico dell’opera è assicurato. I conservatori e coloro
per i quali l’opera “bella” è solo quella che rappresenta forme comuni e
riconoscibili sono pronti alla critica, i “filosofi” ed i progressisti pronti a
difendere, talora, anche l’indifendibile, in ragione della curiosità verso il
nuovo ed il dirompente. Vedremo, si spera prima di Santo Stefano, le opere di
Dalisi ed il dibattito che ne seguirà.
Nelle more si discute, molto più
modestamente, di “luminarie”, il decoro natalizio per antonomasia, l’addobbo
della tradizione che è anche memoria, atmosfera, suggestione inscindibilmente
legata, anche per i pagani, i miscredenti e gli atei, alla festività del
Natale.
Quest’anno a Benevento, pare, non
avremo le “luminarie” ed in effetti a tutt’oggi non si vede una sola lampadina
appesa (e per la verità nessun altro simbolo natalizio). Proprio per questo, domani,
domenica 11 dicembre, addobberò con luci multicolore il mio balcone. Il mio
animo, inguaribilmente sensibile alle atmosfere, non può reggere l’assenza
delle lucine intermittenti, contrariamente ai nostri ambiziosi amministratori,
cultori dell’arte.
Senza luci e senza addobbi, passeggiando
per la città la crisi sembra penetrare nelle ossa, l’austerità diventa
pervasiva, si ha l’impressione che non sia più solo il Fondo Monetario
Internazionale (dell’affascinante Christine Lagarde) a ricordarci i nostri
deficit, ma che addirittura anche il Comune (del condiscendete infido Fausto
Pepe) ci dice che non è il caso di distrarsi, che siamo messi male e non c’è
tempo manco per una suggestione natalizia. Bisogna rimaner tristi, quasi come
fossimo nella Mosca di Breznev.
Dai comunicati ufficiali si
intuisce che l’allestimento artistico di Dalisi nel centro storico sarà sostitutivo
dei decori dell’intera città. Si manifesta in ciò la limitazione culturale che
attanaglia i nostri baldi Assessori, ancorati ad un’idea di città che finisce
entro le mura, che si esaurisce in un asse pedonale, una passerella di qualche
centinaia di metri: corso Garibaldi. Tutto ciò che succede ai margini di
quest’asse e oltre esso ed oltre le antiche porte pare irrilevante o comunque scarsamente
significativo. Quasi che il problema del commercio non esista altrove e che la
festa e la sua suggestione siano destinate a spegnersi a piazza Orsini.
Le case borghesi degli anni 60/70
erano organizzate in modo che vi fosse una stanza gioiello, in cui ricevere gli
ospiti e rappresentare lo status della famiglia, il suo peso economico e la sua
posizione sociale. Nel salotto borghese degli anni 60/70 si esponeva il mobilio
di pregio, l’argenteria, gli stucchi, gli specchi, i cristalli, i liquori
pregiati, i libri d’arte (magari del Banco Napoli, così si capiva che i conti
erano corposi). Non da quest’anno, per la verità, ma quest’anno ancor di più, è
chiaro che l’idea che l’Amministrazione ha della città e della cultura, del
commercio, dell’arte, della storia è assimilabile a quella del salotto della
casa borghese anni 60/70. Gli Assessori hanno bisogno del salottino in centro
per attestare la loro esistenza, il loro potere, il loro status.
Tutto quanto accade in centro e fuori dal centro, a mio avviso, è
figlio di questa concezione limitata e della conseguente mancanza di obiettivi
e strategie per il centro storico, inteso quale risorsa per tutta la città ed
integrato ad essa.
Si deve osservare che
l’Amministrazione non è sola nella sua ristretta e limitata visione della città
e del centro storico; tutti i gruppi sociali ed economici direttamente
interessati mostrano di volare basso quanto se non di più della classe
dirigente politica.
Ci sono i commercianti, che in
larga parte non hanno remora di rappresentarsi come la parte più retriva della
città, continuando a recriminare contro la pedonalizzazione del corso e la
concorrenza dei centri commerciali ed assecondando scelte degradanti
dell’Amministrazione, come è il caso dell’inguardabile mercatino di frattaglie vecchie
impropriamente dette di antiquariato. Questi imprenditori immaginano il loro
successo e reddito dipendere esclusivamente dalla possibilità del transito
veicolare e magari dalla sosta in doppia fila; non sanno definire una strategia
commerciale, non hanno idea di cosa sia scegliersi un “target”, caratterizzare
la propria offerta, mettere in campo azioni di marketing. Commercianti che non
fanno sistema e lottano in perenne retroguardia e retromarcia. Resistono a
mille difficoltà, è indubbio, ma non investono un euro né un grammo di
speculazione intellettuale per incalzare l’Amministrazione con proposte
innovative.
Ci sono poi gli abitanti del
centro storico, che continuano a recriminare e protestare, blandamente, per il
degrado notturno e che si sono scelti gli esercenti dei pubblici esercizi come
nemici, accontentandosi al contempo di una delibera con la quale
l’Amministrazione ha previsto la risibile somma di 20mila euro all’anno per la
videosorveglianza del centro storico. Pur riuniti in comitato non hanno mai
elaborato una proposta seria ed innovativa e neanche sono stati in grado di recepire
modelli di altre città: pare che la loro sopravvivenza dipenda dalla chiusura
dei locali notturni piuttosto che da una seria regolamentazione e
responsabilizzazione degli esercenti e dalla “condivisione” della risorsa
centro storico.
C’è infine l’Amministrazione, che
non ha mai saputo dare una mission al
centro storico, limitandosi, come per tutto, del resto, a scegliere di sedare
le contrapposizioni e le istanze delle parti (commercianti, esercenti,
residenti) con zuccherini sparsi ora a questo ora a quello.
In altre città il centro storico
è il volano del commercio e del turismo, l’Amministrazione promuove il coinvolgimento
degli operatori, sollecitandoli ad aggregarsi, ad assumersi responsabilità, a
condividere le decisioni: si costituiscono le associazioni degli esercenti, dei
commercianti, dei residenti e l’Amministrazione, se ha un’idea di centro
storico, la condivide con questi gruppi, concordando provvedimenti,
regolamenti, ordinanze.
Con questo schema si trovano
soluzioni e risorse per far del centro storico un microsistema economico
trainante, piuttosto che il salottino per l’esposizione d’arte, la passerella per
le passeggiate e le fotografie degli Assessore di turno, che forse trovano le
“luminarie” troppo popolari per le proprie ambizioni ampezzane e radical chic. Noi, modesti mortali di paese,
ci accontenteremmo delle vecchie lampadine ad incandescenza, quelle che
diffondono la luce giallognola, appese ai fili per le vie principali di tutti i
quartieri di tutta la città.