Sono particolarmente sensibile alla sofferenza dei malati di tumore e leucemia; mi turba più della morte. Non è perché sia buono, è semplicemente perché mi sono ammalato di tumore osseo quando avevo 16 anni e mi son dovuto curare, viaggiando tra ospedali di Italia e Stati Uniti, per circa 18 mesi.
I tumori e leucemie, sino ai 18 anni dei pazienti, sono curati in reparti pediatrici. Io a Houston, MD Anderson Cancer Center, stavo tra i grandi, quelli tra 10 e 18 anni, ricoverati nell’ala “west” del 6° piano. Varcato un corridoio di collegamento trasversale si arrivava al 6 “east” dove c’erano i bimbi fino a 10 anni, con le flebo, con le trasfusioni, con le chemio.
Molto più vicino a noi, qui a Benevento, nei quartieri più popolari e popolosi della città ci sono bambini (e adulti) ammalati che fanno fatica a curarsi ed a vivere con la malattia: non hanno informazioni, non hanno a volte mezzi di trasporto per andare a fare le terapie, vivono condizioni di disagio economiche aggravate dalle malattie (e parlo sempre di tumori e leucemie) e malattie aggravate dal disagio economico.
Capisco e trovo normale che la malattia e la sofferenza di una persona nota suscitino una solidarietà emotiva, la compartecipazione al dolore, la speranza condivisa della guarigione.
Tutto questo è bene e fa bene. In America mi ripetevano sempre che per guarire dovevo conservare il buon umore ed io che sono un ottimista, delinquentello, spregiudicato, faccia tosta, l’ho sempre conservato (quando persi i capelli mi pittai la faccia di mille colori, così per darmi un tono). Ci sono riuscito, in verità, anche per l’affetto che mi circondava e per l’opera instancabile dei volontari che venivano in ospedale a svolgere mille attività. Questo in America; a Roma, al Gemelli, non ho mai visto volontari, anzi a volte li ho visti ma erano quelli con l’aria “finta afflitta” che fa girare le scatole.
Un allenatore, ex calciatore si è ammala e non posso, dunque, non unirmi anch’io all’augurio affettuoso di guarigione ed al grido di mantener ferma la forza di sopportazione e l’ottimismo. So bene che si passa. Non di meno, però, non riesco, oramai più, a non considerare sguaiate ed irritanti le manifestazioni di solidarietà che da mesi si susseguono, complici istituzioni e giornali che “ci marciano”, utilizzando la malattia per cinici ed inopportuni show.
Non pensiate, voi sani, che le sciarpe e gli auguri si possano ammainare usciti dalla chiesa aperta per la messa pro uomo noto ammalato. Portatele segretamente negli ospedali quelle sciarpe, per la miseria. Truccatevi andate a fare spettacoli, cori, gag, animazioni nei reparti pediatrici, aiutate le sofferenze ignote, le persone comuni e quelle povere. A Houston i volontari venivano a prenderci e ci portavano, flebo alla mano, allo stadio per una partita di baseball o al palazzetto per la partita dei Rockets. Dopo lo show in chiesa, dunque, andate a prendere qualche ammalato e portatelo allo stadio per un utile e terapeutico pomeriggio di svago. Senza avvertire i giornali, per favore.
Le sciarpe degli atleti nel DUOMO